don Sergio a conclusione giornate eucaristiche


Giussano, 11 novembre 2018

Riflessione del Parroco don Sergio a conclusione delle Giornate eucaristiche

 

C’era un volta…

una famiglia, dove regnava la gioia e l’amore. Insomma proprio una bella famiglia.

Tutti si volevano bene e si aiutavano a vicenda, come dice la Bibbia.

«Siate invece benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi, perdonandovi a vicenda come Dio ha perdonato a voi in Cristo» (Ef 4, 32).

Questa famiglia era composta da papà, mamma e cinque figli, sani, belli e intelligenti.

Purtroppo la croce entrò anche in quella casa e la mamma morì molto giovane, lasciando il marito e i suoi cinque bambini piccoli (dai 2 ai 9 anni) che adorava.

Paolo, il papà, dovette fare molti sacrifici per allevare i suoi cinque figli che gli diedero molte soddisfazioni.

Filippo e Giacomo, i due gemelli, dopo avere studiato si laurearono, uno in architettura e l’altro in economica e commercio e andarono a lavorare nella bottega del padre facendola diventare una moderna azienda di mobili.

Paolo e sua moglie erano timorati di Dio ed educarono i loro figli alla vita cristiana tanto che

Margherita scelse di dedicare la sua vita totalmente al Signore e divenne una religiosa, completamente donata al servizio dei malati.

Stefano divenne diacono permanente mettendosi a servizio della parrocchia e insegnando a scuola religione.

Giulitta si sposò ed ebbe un bel bambino di nome Quirico, per la gioia di nonno Paolo.

Papà Paolo adagio, adagio, rimase solo in casa, ma era contento perché ogni figlio aveva realizzato la propria chiamata. Il Signore lo aveva anche benedetto donandogli qualche vocazione di speciale consacrazione.

Tutto procedeva serenamente fino al giorno in cui – per i soliti motivi di interesse, di invidia che, spesso entra nelle relazioni anche quelle più profonde, di incomprensione, gli incontri di famiglia cominciarono a diradarsi tanto da arrivare ad una situazione che fece soffrire molto papà Paolo.

I suoi figli continuavano ad andare a trovarlo, ma ognuno lo faceva quando era sicuro d non trovare nessuno dei fratelli e delle sorelle.

Non c’era più Natale, Pasqua, compleanni, festa del paese; papà Paolo vedeva tutti i suoi figli, ma l’unità della famiglia non esisteva più.

Venne il giorno in cui Paolo, ormai sazio di giorni, si ammalò. I figli addolorati continuavano ad andare a trovarlo, assicurandosi di non incontrare nessuno dei fratelli e sorelle.

Paolo fu accudito e vegliato sempre da un figlio o da una figlia, ma da tempo il suo volto era triste e pensieroso.

L’ultimo giorno della sua vita, mancavano poche ore alla sua morte, tutti i figli si trovarono attorno al letto del papà.

Paolo aprì gli occhi e vide attorno al suo letto: Filippo e Giacomo, Margherita, Stefano, Giulitta con il figlio Quirico, ormai cresciuto.

Paolo presele mani dei figli, ne mise una sopra l’altra e in cima appoggiò la sua, poi disse, quasi fosse un testamento:

«Siate salutati e benedetti cari figli,

che mi avete capito, con tanta discrezione e cordialità, a voi sia la mia pace e la mia benedizione.

Figliuoli io vi ho dato tutto, non mi è rimasto nulla, ma vi voglio lasciare l’eredità più bella e più preziosa: ‘Amatevi gli uni gli altri perché da questo capiranno che siete miei figli, e prima ancora figli di Dio padre, dall’amore che avrete tra di voi. Vivete in comunione, sappiate perdonarvi, non abbiate gelosia tra di voi, aiutatevi a vicenda… sempre. Ritrovatevi a cantare le lodi del Signore e siate come un popolo in cammino.

Ricordate, questo vi lascio come eredità: la capacità, lo sforzo, il desiderio di camminare insieme e a voi dono la benedizione del papà, che muore».

Il papà guardò tutti i suoi figli con un grande sorriso poi spirò.

I figli, con le lacrime agli occhi, si presero le mani e innalzarono un canto a Dio ringraziandolo per aver donato loro un papà così grande.

 

Morale della favola:

«Chi ha orecchi per intendere, intenda».