Audio delle riflessioni di don Enrico


In cammino con Abramo

Pro-rettore del seminario Arcivescovile
Castagna don Enrico
Responsabile del Biennio teologico e della Comunità Propedeutica

libretto esercizi spirituali 2019

 

 

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Alcune foto del pellegrinaggio a Boca e a Momo

esercizi19_domenica

esercizi19_lunedì – Principio e fondamento della vicenda di Abramo
esercizi19_martedì – La fatica della fede
esercizi19_mercoledì – Il fiorire di Abramo
esercizi19_giovedì – La grande prova di Abramo


esercizi19_venerdì – La vita oltre la morte

Domenica 17 marzo chiudendo la settimana di esercizi spirituali, in pellegrinaggio ai santuari di Boca e Momo è stata celebrata una “Via Crucis”. Il nostro camminare è stato scandito dalle testimonianze di Don tonino Bello

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Il Calvario è lo scrigno nel quale si concentra tutto l’amore di Dio
Quando io sento dire che la croce, manifestazione suprema dell’ amore di Dio, è una crudeltà che ha inventato il Signore… quando sento dire che non deve il Signore far soffrire coloro che per amore ha creato… quando sento dire qualche volta che il Signore è duro con noi… io mi sento male, perché non è così.
La croce è la manifestazione, è l’epifania più alta dell’ amore di Dio per noi. Ha mandato Suo Figlio sulla croce perché ci togliesse tutti i nostri peccati, ci redimesse, ci rendesse puri.
Anche noi, sulla nostra croce rendiamo più pura l’umanità e più buono il mondo. Anche il letto del nostro dolore dovrebbe essere fontana di carità. Ognuno dovrebbe dire: «Signore, io non soltanto mi affido a Te e sono felice di partecipare a questa operazione della carità in cooperativa con Te, ma Ti ringrazio di questo privilegio. Perché tra gli operai scelti, Tu hai preso proprio me. Mi hai chiamato per nome perché io collabori con la Tua opera di salvezza. Grazie perché il mio letto di dolore è fontana di carità, è sorgente di amore. Di amore per Te, ma anche di amore per tutti i fratelli».
Coraggio! La nostra esistenza non è inutile. Il nostro dolore alimenta l’economia sommersa della grazia. Sì, ci sarà da qualche parte un immenso deposito della grazia. La nostra sofferenza alimenta, rigonfia l’otre della grazia perché poi si riversi sul mondo in un empito di carità.
E capiremo che il nostro martirio non è stato un assurdo, una crudeltà di Dio, una sua ingerenza nella nostra storia disturbata dal dolore. Invece il nostro martirio, la nostra sofferenza ha alimentato il fiume della redenzione raggiungendo i più remoti angoli della terra. Il nostro dolore è come un rigagnolo che va ad ingrossare il fiume del sangue di Cristo.
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Che cosa è la speranza? Speranza significa forza di rinnovare il mondo, forza di cambiare le cose. Nonostante tutto.
Nonostante la malattia, nonostante la sofferenza, nonostante il pianto. La speranza è l’atteggiamento di colui che, mentre
si addensano le tribolazioni sulle sue spalle, non lascia spegnere il canto sulla sua bocca.
Se oggi non sappiamo attendere più, è perché siamo a corto di speranza. Se ne sono disseccate le sorgenti. Soffriamo
una profonda crisi di desiderio e, ormai paghi dei mille surrogati che ci assediano, rischiamo di non aspettarci più nulla nemmeno da quelle promesse ultraterrene, che sono state firmate col sangue dal Dio dell’Alleanza.
Annunciare la speranza significa anche giudicare gli avvenimenti alla luce della Parola di Dio, e non semplicemente avallarli alla fioca lucerna dei calcoli umani. La comunione con Gesù Cristo, la comunione con i fratelli, il servizio e la convivialità e infine, la gioia Pasquale. Sono questi i segni della speranza.
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Fede significa abbandono: «Padre mio mi abbandono a te».
Sul Golgota Gesù ha compiuto l’atto supremo di fede nei confronti del Padre. Sul Golgota risplende la fede di Maria che, quando Gesù emette l’ultimo sospiro, rimane l’unica a illuminare la terra per tutto il venerdì e il sabato santo. Bene, è il luogo della fede, il Calvario. Ma anche per noi il nostro piccolo calvario, quello che si racchiude nel perimetro di quattro pareti, deve essere il luogo della fede, della fiducia, del nostro abbandono in Dio.